Ansel Adams dixit
- Scritto il Marzo 16, 2016
- Da rocco
- In Autori, Lettura dell'immagine
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Girovagando tra i vari siti fotografici mi sono imbattuto in una citazione di Ansel Adams che mi ha profondamente colpito per l’imediatezza del concetto e la semplicità del contenuto:
Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene. (Ansel Adams)
La mia prima reazione è stata di condivisione, anche nel mio piccolo penso che se il fotografo vuole comunicare un messaggio deve cercare di non essere troppo complesso e non esagerare negli elementi da decodificare. Il linguaggio fotografico deve cercare di essere diretto e il più manifesto possibile, altrimenti il messaggio può non arrivare o arrivare in maniera distorta.
Poi però mi sono sorti alcuni dubbi: ma siamo sicuri che una fotografia, come qualunque opera d’arte, debba essere sempre compresa dal pubblico? Io credo di no, rischiamo altrimenti di semplificare troppo e di cadere nel banale. Molto spesso ci troviamo davanti a fotografie che ci colpiscono e ci attirano anche se il messaggio dell’autore non è sempre inteleggibile. In questi casi un alone di mistero avvolge l’opera: “cosa avrà voluto dire l’autore ?”. Ma è proprio questo mistero che rende l’opera affascinante.
Bisogna poi confrontare il livello culturale dell’artista con quello del visitatore. Questo confronto non vuole essere classista ma è innegabile che per nostra fortuna siamo dotati da questo punto di vista di sensibilità diverse. Un segno per essere decodificato deve essere prima riconosciuto e questo dipende dalla profondità culturale e dalla sensibilità emotiva proprie di ogni individuo, quindi, quanto più vasta vuole essere la platea, tanto più “semplice” dovrebbe essere il messaggio.
Infine c’è da dire che non tutti capiscono le barzellette anche quando vengono ben raccontate, ma questo forse è un altro discorso……o no?
Per chiudere faccio delle domande: da fotografi come definite il titolo di un’immagine? Siete soliti aggiungere oltre al titolo anche delle frasi di accompagnamento? Da fruitori di immagini altrui, quanto tempo dedicate alla lettura dell’immagine prima di “giudicarla”?
Su questo argomento, che ritengo interessante, mi piacerebbe sentire la vostra.
Elio
C’è molta verità in quella citazione di Ansel Adams, anche se poi il discorso può essere più complesso.
Ormai siamo sommersi da migliaia di immagini ogni giorno. Pertanto una immagine per attirare la nostra attenzione deve contenere a priori un “messaggio” significativo: raccontare una storia (o meglio un istante) o un’emozione. Questa condizione poi ci porta ad una lettura più attenta dell’immagine stessa. Diversamente l’immagine non viene neanche percepita. Ovviamente la percezione dei messaggi e delle emozioni è diversa in ogni persona.
Il titolo: quando consideriamo la Fotografia ad un livello un po’ più evoluto di quello del supermarket dell’immagine che sono i social network e alcuni blog di fotografia, il titolo o una citazione ci dicono qualcosa in più dell’autore, del suo sentire. A mio avviso può aggiungere valore all’immagine.
E’ vero anche che talvolta ci troviamo di fronte immagini con titoli volutamente provocatori, scelti dall’autore forse per cercar di rendere più interessante l’opera.
Lettura dell’immagine: secondo me è un punto dolente. Ormai siamo assuefatti a guardare immagini su un monitor, un tablet o uno smartphone: strumenti molto comodi per una visualizzazione veloce, ma che spesso non consentono una buona comprensione ed un reale giudizio delle immagini che si stanno osservando. Alla fine hai visto centinaia di immagini in pochi minuti ma forse non ti è rimasto nulla (provate ad immaginare le immagini di Salgado viste su un tablet, piuttosto che in una mostra…). Non di rado immagini che su un piccolo schermo risultano piacevoli o interessanti perdono valore man mano che vengono ingrandite, oppure succede l’inverso.
Infine mi sento di dire che un buona lettura di una immagine altrui richiede anche più attenzione di quanto non me mettiamo nel produrre una nostra.
Un saluto a tutti.
Paolo
Nel momento in cui si legge una citazione come quella riportata qui mi prende sempre il dubbio che siamo condizionati dalla fama dell’autore della frase stessa. Cadiamo, insomma, nell’antico sbaglio di giudicare un libro dalla copertina. Non voglio dire che sia proprio questo il caso, ma spesso le citazioni sono solo banalità d’autore.
Personalmente credo non si possa codificare il linguaggio fotografico perché non esiste un linguaggio ma esistono invece tanti modi di esprimersi. Intanto, di quale fotografia stiamo parlando? Se la foto deve essere testimonianza non può che essere di comprensione immediata, altrimenti che testimonianza sarebbe? E, in ogni caso, anche questo tipo di foto dalla fruizione fulminea, con il tempo, può diventare complessa da decifrare perché il passare degli anni accumula incrostazioni semantiche su ogni tipo di comunicazione e anche sui soggetti protagonisti della foto stessa. Pensate solo alle foto di Borsatti che hanno per tema i triestini che partono per l’Australia. Una volta avevano un senso, quello dell’attualità, oggi devono essere spiegate al pubblico più giovane e hanno quindi necessità di una mediazione per essere comprese.
Se invece la foto è racconto o spunto di riflessione, il messaggio che invia non può essere che polisemico. Il titolo è un suggerimento che indirizza verso la “giusta comprensione” dell’immagine. Ma siamo sicuri di volere che i nostri scatti siano rinchiusi nell’angusto spazio della sensibilità dell’autore? Non è meglio lasciare che chi guarda ci veda quello che vuole o addirittura desidera? Pensate che bello, realizzare i sogni di qualcuno con una foto, farlo felice e non saperne nulla.
(insomma, tutta questa mia lenzuolata per giustificare i titoli insensati che do alle mie foto!)
Un caro saluto a tutti, Paolo
giulio milion
Sono assolutamente d’accordo con questa frase di Adams che suona un po’ come una sentenza: se un’immagine (foto, quadro, disegno, ecc.) ha bisogno di una spiegazione per essere capita, significa che non riesce a colpire chi la guarda. E’ ben vero che le immagini possono avere anche livelli di comprensione più profondi che non il mero impatto estetico e che possono essere comprese in modo diverso da persone con sensibilità e preparazioni differenti. Aiuta allora di più un commento critico esterno che faccia conoscere l’autore, l’ambiente ed il contesto storico in cui l’opera è stata creata. Troppo spesso i titoli delle opere non sono altro che una ripetizione di ciò che lo spettatore ha già capito guardandole o se ha capito qualcosa di diverso da ciò che l’autore voleva esprimere, non è detto che l’interpretazione che ne deriva non sia altrettanto valida. A mio avviso il titolo, se mai ce n’è bisogno, dovrebbe limitarsi alla data ed al luogo in cui l’immagine è stata realizzata, per non togliere all’intelligenza interpretativa dello spettatore il piacere di liberare la sua fantasia.
Saluti a tutti
Giulio